lunedì 18 febbraio 2013

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO …


...da Micol  di  3aA

In occasione della giornata della memoria abbiamo assistito allo spettacolo teatrale “All’erta  stiam”  presentato proprio nella nostra scuola da quattro attori.
…Ci stavamo dirigendo verso l’aula video quando delle urla in tedesco ci hanno preso di sorpresa: un uomo era sopra la scrivania, sembrava un soldato e urlava a noi come se fossimo le sue vittime.
Le urla rimbombavano nel corridoio e avvolgevano chiunque fosse presente.
Mi venne d’istinto, strinsi forte il sasso bianco che ci avevano appena dato le altre attrici.
Ognuno di noi ne aveva uno nella mano e lo stringeva, come se quel sasso avesse potuto cambiare le cose, come se fosse stato l’unica cosa di cui avevamo bisogno in quel momento.
Le attrici ci fecero entrare nella stanza di fretta, come se stessimo scappando da qualcosa.
Ci sedemmo a semicerchio e partì una musica, lenta.
Non capivo cosa dicesse quella canzone, ma sembravano parole felici, rassicuranti.
Le note invasero la stanza in ogni angolo e come aria si diffusero lentamente dentro di noi .
Gli attori ballavano all’interno del semicerchio; tre donne e un uomo , quello che prima aveva urlato.
Erano tutti vestiti di nero e ognuno di loro aveva un cappotto.
Mentre danzavano su quelle note dolci si tolsero il cappotto, uno alla volta, e ne fecero un cumulo.
Poco più in là c’erano  un cumolo di valigie e più in là ancora uno di scarpe.


Dopo un po’ la musica si spense e il silenzio venne spezzato dagli attori , che iniziarono a parlare.
“All’inizio vennero a prendere gli zingari, ma non dissi niente, perché mi davano fastidio. Dopo vennero a prendere i comunisti, ma rimasi indifferente perché tanto non ero uno di loro. Poi gli ebrei… Alla fine vennero a prendere me”, così dissero.
Quelle parole mi fecero riflettere, mi diedero fastidio, perché ognuno di noi davanti a certi fatti, a volte rimane indifferente. Era una provocazione, volevano provocarci , e ci erano riusciti.
Ma il bello arrivò dopo, quando un’ attrice iniziò a parlare: “Sopra a quel  cumulo di scarpe ce n’è un paio. Un paio di scarpette rosse, numero ventiquattro quasi nuove. Appartenevano a un bambino di tre anni, forse di tre anni e mezzo”. Quelle parole risuonarono nella stanza silenziosa. Quelle parole mi commossero, mi toccarono dentro con violenza, come se fosse stata un po’ anche colpa mia. Un coltello si conficcava nella gola senza lasciarmi via di uscita. Smetti di respirare,  il sangue si diffonde in tutto il corpo e arriva al cuore, in frantumi, arriva al cervello, perdi la testa. Un’infinità di emozioni mi attraversò l’ anima, un brivido mi scosse, la voglia di urlare e di buttare tutto per terra. Tutto si manifestò con le lacrime, che scendevano una a una come note sul pentagramma infinito di quelle  musiche dolci che ogni tanto si presentavano a noi. Perché era morto quel bambino? Aveva tutta la vita davanti, tutta. Perché a lui e non a me? Era un'altra vita spezzata, di un bambino innocente che in quella guerra non c’entrava niente. Non aveva colpe, tutto il mondo gli era crollato addosso senza che lui se ne accorgesse. Un altro cadavere duro, freddo, senz’ anima. Un altro sasso. Quel sasso che stringevo tra le mani, che ognuno di noi aveva con sé. Quei sassi rappresentavano i corpi innocenti di quella guerra. Bianchi, puri, duri, freddi. “Un sasso per ognuno di noi,” dicevano. E ci hanno presi per mano, facendoci alzare e portandoci a mettere i nostri sassi per terra, formando un altro cumulo.
Ci hanno fatto riflettere  sulla libertà. Libertà è guardare il cielo senza paura.
Gli attori erano bravissimi; nei loro occhi si leggeva la sofferenza, ma allo stesso tempo la speranza che volevano rappresentare.
“Domani sarò triste, non oggi” dicevano. Questa è una frase che un bambino tutti i giorni  scriveva nel campo di concentramento in cui stava. Sarebbe stato triste domani, non oggi. Oggi avrebbe guardato il cielo senza alcun timore. E quando senti queste parole ti senti fortunata, dai molta  più  importanza ad ogni camminata per strada, libera, ad ogni giornata passata divertendoti con gli amici, ad ogni sguardo al cielo infinito senza paura, perché…lo posso fare!  Io posso sentirmi libera di volare e di sognare. Libera di essere ciò che sono e di creare la mia vita. Libera di dire sempre ciò che penso. Questo fu il messaggio finale. “Non state mai zitti, dite sempre la vostra opinione. Siate incomodi, siate il granello di sabbia che blocca l’ingranaggio, e non l’olio che lo fa andare avanti”.  Queste parole risuonano nella mia mente come un  ritornello  pieno di speranza. La stessa che era  presente in quelle musiche ebraiche. Parole dure come quelle vite spezzate, che però  rimarranno sempre come simbolo di quella libertà che nessuno potrà mai negare.

Libertà è guardare il cielo senza paura (Cortesia: NicolasSemeniuk)

4 commenti:

  1. Risposte
    1. Ciao Gabriele, vedo che hai provato a fare un commento seguendo le istruzioni che abbiamo dato oggi: bravo!

      A domani,

      prof. C.M.

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