...da Micol di 3aA
In
occasione della giornata della memoria abbiamo assistito allo spettacolo
teatrale “All’erta stiam” presentato proprio nella nostra scuola da
quattro attori.
…Ci
stavamo dirigendo verso l’aula video quando delle urla in tedesco ci hanno
preso di sorpresa: un uomo era sopra la scrivania, sembrava un soldato e urlava
a noi come se fossimo le sue vittime.
Le
urla rimbombavano nel corridoio e avvolgevano chiunque fosse presente.
Mi
venne d’istinto, strinsi forte il sasso bianco che ci avevano appena dato le
altre attrici.
Ognuno
di noi ne aveva uno nella mano e lo stringeva, come se quel sasso avesse potuto
cambiare le cose, come se fosse stato l’unica cosa di cui avevamo bisogno in
quel momento.
Le
attrici ci fecero entrare nella stanza di fretta, come se stessimo scappando da
qualcosa.
Ci
sedemmo a semicerchio e partì una musica, lenta.
Non
capivo cosa dicesse quella canzone, ma sembravano parole felici, rassicuranti.
Le
note invasero la stanza in ogni angolo e come aria si diffusero lentamente
dentro di noi .
Gli
attori ballavano all’interno del semicerchio; tre donne e un uomo , quello che
prima aveva urlato.
Erano
tutti vestiti di nero e ognuno di loro aveva un cappotto.
Mentre
danzavano su quelle note dolci si tolsero il cappotto, uno alla volta, e ne
fecero un cumulo.
Poco
più in là c’erano un cumolo di valigie e
più in là ancora uno di scarpe.
Dopo
un po’ la musica si spense e il silenzio venne spezzato dagli attori , che
iniziarono a parlare.
“All’inizio
vennero a prendere gli zingari, ma non dissi niente, perché mi davano fastidio. Dopo vennero a prendere i comunisti, ma rimasi indifferente perché tanto non
ero uno di loro. Poi gli ebrei… Alla fine vennero a prendere me”, così dissero.
Quelle parole mi fecero riflettere, mi diedero
fastidio, perché ognuno di noi davanti a certi fatti, a volte rimane
indifferente. Era una provocazione, volevano provocarci , e ci erano riusciti.
Ma il bello arrivò dopo, quando un’ attrice
iniziò a parlare: “Sopra a quel cumulo
di scarpe ce n’è un paio. Un paio di scarpette rosse, numero ventiquattro quasi
nuove. Appartenevano a un bambino di tre anni, forse di tre anni e mezzo”.
Quelle parole risuonarono nella stanza silenziosa. Quelle parole mi commossero,
mi toccarono dentro con violenza, come se fosse stata un po’ anche colpa mia.
Un coltello si conficcava nella gola senza lasciarmi via di uscita. Smetti di
respirare, il sangue si diffonde in
tutto il corpo e arriva al cuore, in frantumi, arriva al cervello, perdi la
testa. Un’infinità di emozioni mi attraversò l’ anima, un brivido mi scosse, la
voglia di urlare e di buttare tutto per terra. Tutto si manifestò con le
lacrime, che scendevano una a una come note sul pentagramma infinito di
quelle musiche dolci che ogni tanto si
presentavano a noi. Perché era morto quel bambino? Aveva tutta la vita
davanti, tutta. Perché a lui e non a me? Era un'altra vita spezzata, di un
bambino innocente che in quella guerra non c’entrava niente. Non aveva colpe,
tutto il mondo gli era crollato addosso senza che lui se ne accorgesse. Un
altro cadavere duro, freddo, senz’ anima. Un altro sasso. Quel sasso che
stringevo tra le mani, che ognuno di noi aveva con sé. Quei sassi
rappresentavano i corpi innocenti di quella guerra. Bianchi, puri, duri,
freddi. “Un sasso per ognuno di noi,” dicevano. E ci hanno presi per mano,
facendoci alzare e portandoci a mettere i nostri sassi per terra, formando un
altro cumulo.
Ci hanno fatto riflettere sulla libertà. Libertà è guardare il cielo
senza paura.
Gli
attori erano bravissimi; nei loro occhi si leggeva la sofferenza, ma allo
stesso tempo la speranza che volevano rappresentare.
“Domani
sarò triste, non oggi” dicevano. Questa è una frase che un bambino tutti i
giorni scriveva nel campo di concentramento
in cui stava. Sarebbe stato triste domani, non oggi. Oggi avrebbe guardato il
cielo senza alcun timore. E quando senti queste parole ti senti fortunata, dai
molta più importanza ad ogni camminata per strada,
libera, ad ogni giornata passata divertendoti con gli amici, ad ogni sguardo al
cielo infinito senza paura, perché…lo posso fare! Io posso sentirmi libera di volare e di
sognare. Libera di essere ciò che sono e di creare la mia vita. Libera di dire
sempre ciò che penso. Questo fu il messaggio finale. “Non state mai zitti, dite
sempre la vostra opinione. Siate incomodi, siate il granello di sabbia che
blocca l’ingranaggio, e non l’olio che lo fa andare avanti”. Queste parole risuonano nella mia mente come
un ritornello pieno di speranza. La stessa che era presente in quelle musiche ebraiche. Parole
dure come quelle vite spezzate, che però rimarranno sempre come simbolo di quella
libertà che nessuno potrà mai negare.
Libertà è guardare il cielo senza paura (Cortesia: NicolasSemeniuk) |
Molto toccante
RispondiEliminaGabriele
Ciao Gabriele, vedo che hai provato a fare un commento seguendo le istruzioni che abbiamo dato oggi: bravo!
EliminaA domani,
prof. C.M.
Grazie
RispondiEliminaCommovente
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